14 maggio 2018
Le fotografie di Steve Sabella (Gerusalemme, 1975) sono labirintiche e straordinarie costruzioni alchemiche, chirurgicamente ricomposte sulla base di immagini quotidiane frammentate e sezionate.
Tra camera oscura e innovativo trionfo del digitale trova respiro anche la grande tradizione pittorica: “Se si guardano i dettagli delle mie opere”, racconta l’artista, “si possono scorgere frammenti di composizioni figurative e di tradizioni letterarie, come un certo naturalismo creaturale tratto da Bosch e dalla Bibbia (in particolare dalla Genesi). Alcuni soggetti ricordano Adamo ed Eva; altri invece sono in attesa e sperano in una sorta di rivincita o riflettono su un enigma”.
Un enigma che è il fulcro stesso della poetica di Sabella: i fotomontaggi e le declinazioni delle diverse unità oscillano tra alienazione e ospitalità; diventano luogo di approdo di fantasia, di gioia e di coinvolgimento – ma anche di distacco, di fissità e di individualità. Guardando la serie On Earth (2018), Sabella afferma: “Visti da lontano, sembrano quadri astratti o composizioni ritmiche di tavolozze di terra, acqua e carne. Potrebbero essere fotografie di Marte o di un deserto lontano nel tempo. Solamente avvicinandosi si nota la complessità delle scene, dei ricordi, dei riferimenti. Ma spetta all’osservatore capire quale significato sia indispensabile”.
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