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STEVE SABELLA | Archaeology of the Future - in mostra a Verona

2014

Il Centro Internazionale di Fotografia Scavi Scaligeri ospita Steve Sabella. Archaeology of the Future, prima personale dell’artista di origine palestinese in un museo italiano. La ricerca di Sabella s’incentra sul principio che lega l’immagine all’immaginazione, vera sfida della fotografia ai giorni nostri.
La rassegna, supportata da Boxart (Verona) e in collaborazione con Berloni (Londra), è resa possibile anche grazie all’ausilio critico della storica d’arte islamica Karin Adrian von Roques, che arricchisce il catalogo con un testo generoso e profondo.
La mostra si colloca, inoltre, tra gli eventi di ArtVerona - nella sezione PhotoArtVerona - facendo coincidere l’inaugurazione ufficiale, sabato 11 ottobre, con il weekend della manifestazione, al suo decennale, e con la X edizione della Giornata del Contemporaneo indetta da AMACI, Associazione dei Musei Italiani d’Arte Contemporanea.
Perché un’archeologia del futuro? Il titolo della mostra è un paradosso, ma è soprattutto un Manifesto programmatico: solo scavando nell’esiguo passato di un’esistenza umana si possono rinvenire le basi di un singolo domani, per molti aspetti condiviso.
E se il piacere di questa recherche –annotava Proust– consiste nel viaggiare con nuovi occhi, Steve Sabella è un viaggiatore vero. Dal suo sguardo s’intravvede l’esilio da Gerusalemme –dove è nato nel 1975– verso l’Europa. Tuttavia, al pari della quarta dimensione cubista, egli porta alla luce anche una visione interiore dello spazio e del succedersi degli accadimenti.
Conoscere la biografia dell’artista –trasferitosi a Londra nel 2007 e a Berlino nel 2010– non basta a ripercorrere le tappe di un viaggio chiaramente non cronologico né geografico, bensì esistenziale.
In sintesi, citando i titoli di due dei sette cicli fotografici esposti, si parte dall’esilio per giungere all’indipendenza, attraverso un pari numero di stazioni di transito, percorse da Sabella, uomo e artista, tra il 2004 e il 2014. A queste sei tappe si somma una zona di passaggio denominata In Transition.
Come, tuttavia, i paesaggi ritratti non sono reali, ma radicati nella memoria, così pure la progressione temporale di questi spostamenti viene meno, facendo convivere, all’inizio del percorso espositivo, i due estremi del viaggio. Cinque opere della serie In Exile del 2008, infatti, sono esposte nel primo corridoio del museo, a fianco della tappa finale, Independence (2013), serie fotografica che risale soltanto a un anno fa.
Nel primo caso si tratta di paesaggi della reminiscenza: collage fotografici nati dall’assemblaggio di porzioni di spazio, ovvero frammenti di abitazioni, finestre, cornicioni e terrazze. La ripetizione di una o due immagini, seppur da angolazioni diverse, ricompone i ricordi nati dalla frequentazione di quei luoghi e ricrea un paese mentale, diverso, seppur altrettanto caleidoscopico di quello “reale”.
Nel secondo caso, il raggiungimento dell’indipendenza, viene rappresentato con una grande installazione composta da una decina di teli bianchi appesi al soffitto, alti oltre due metri. Su questi teleri contemporanei, all’interno del salone buio, fluttuano immagini sgranate che rendono teatrale la suggestione visiva. Le figure sembrano trasmettere un senso di pacificazione, una riconquistata armonia personale, auspicabile per la stato della Palestina, da decenni in lotta per lo stesso obiettivo.

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