2018
Immagini e immaginazione. Difficile dire dove finiscano le prime e inizi la seconda. Meglio parlare di intrecci. Di sottili trame compositive ottenute attraverso il mezzo fotografico spinto agli eccessi, esteticamente perfette e di forte carica emotiva. Immagini nell’immagine, sperimentazioni borderline realizzate fra i più estrosi processi (di infinita frantumazione e reiterazione del reale) meditati in camera oscura e l’avventura senza rete della composizione digitale. Fra arte, sociale e politica. Così, di primo impatto, si presentano le opere fotografiche di Steve Sabella, fra i maggiori esponenti della fotografia d’avanguardia internazionale e che, fino al 28 giugno, ritroviamo a Torino, ospite della Galleria “metroquadro” di Marco Sassone. Palestinese della Città Vecchia di Gerusalemme (dove nasce nel 1975), Sabella vive dal 2010 a Berlino e sotto la Mole ritorna con una mostra, inserita nell’ambito di Fo.To – Fotografi a Torino, dal titolo significativo di “Wavelengths” (“Lunghezze d’onda”), con tre serie di foto-collage in cui compare la nuova “On Earth” (2018), accanto alle due più datate (2012) “Metamorphosis” e “Sinopia”. Comune fil rouge, quell’intreccio misterioso di immagini eimmaginazione (di cui s’è detto), accanto al gioco spesso inconscio, contradditorio ma mirabile, fra individuale e collettivo, familiare ed estraneo e perfino fra fotografia e pittura. I fotomontaggi di Sabella diventano così una sorta di alchimia sul mondo visibile, frammentando violentando e ribaltando le immagini della quotidianità. “Quando sei nella camera oscura – racconta l’artista – non parli con nessuno. L’unica cosa con cui parli é…arte”.
In “Metamorphosis”, comuni e banali oggetti – realtà di tutti i giorni – vengono spaesati e alienati creando composizioni di astratta geometria che spesso hanno suscitato paragoni con il medium della pittura. “Negli ultimi anni Sabella – è stato scritto – ha usato la macchina fotografica come un pittore usa il pennello”; così anche per la serie “Sinopia” dove il Bahrein è ricomposto attraverso gli occhi dell’artista e lo skyline della capitale Manama è ripreso all’alba e durante il giorno con una panoramica a 360 gradi, appiattita in una forma di onda sonora che Sabella ha poi trasposto in frequenze audio, commissionando all’ensemble jazz “The Khoury Project” la composizione di “The Voice of Manama” che accompagna la visione dell’opera. I lavori della più recente serie “On Earth”, se “visti da lontano –scrive ancora Sabella – sembrano quadri astratti o composizioni ritmiche di tavolozze di terra, acqua e carne…Solamente avvicinandosi si nota la complessità delle scene, dei ricordi, dei riferimenti”. Di quei dettagli onirici (una zattera di plastica multicolore che galleggia insieme a Ninfe in una sorta di Eden terrestre o unviaggiatore solitario che sembra vagare su Marte o in un deserto che è memoria di tempi lontani e di spazi indefiniti) in cui “si possono scorgere frammenti di composizioni figurative e di tradizioni letterarie, come un certo naturalismo creaturale tratto da Bosch e dalla Bibbia (in particolare dalla Genesi)”. Alcuni soggetti “ricordano Adamo ed Eva; altri invece sono in attesa e sperano in una sorta di rivincita o riflettono su un enigma”. Sono opere in cui si fondono, in un unicum straordinario, geniale creatività, incontenibili impulsi visionari e una non comune cultura storico-artistica: ecco perché le troviamo inserite in diverse importanti collezioni internazionali, dal “British Museum” di Londra al “Mathaf: Arab Museum of Modern Art” di Doha e all’ “Arab World Institute” di Parigi. Nel suo libro autobiografico “The Parachute Paradox” (pubblicato da “Kerber Verlag” nel 2016 e vincitore dell’“Eric Hoffer and Nautilus Book Awards” ), Sabella, da palestinese esule per libera scelta,“propone un soggetto– come ha scritto Al-Araby Al-Jadeed di Londra – che non ha precedenti nella letteratura palestinese: la liberazione di se’ stessi e della patria attraverso la liberazione dell’immaginazione”. Tesi del tutto personale, ma incredibilmente affascinante.
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